Il cappuccino di Mr. Cameron

 

All’inizio di agosto le cronache si occuparono di un simpatico fatto, avvenuto a Montevarchi, che rese temporaneamente celebre una cameriera per non aver servito il cappuccino al tavolo al primo ministro britannico David Cameron, invitandolo a farlo con le proprie mani.

Molti bar mettono a disposizione tavoli senza servizio: chi vuole può portarci quello che intende consumare seduto. Può piacere o no, ma è un’usanza diffusa.

Nel nostro caso la stampa fu colpita dal fatto che il cliente al quale fu rifiutato il servizio fosse un primo ministro.

Sono stato colpito anch’io dalla notizia, ma per ragioni assai diverse da quelle che hanno spinto tanti giornalisti a parlarne.

La diffusione data al fatto è dovuta all’assiomatico presupposto secondo il quale un primo ministro non è un cliente come gli altri, e gli spetta un servizio speciale. È l’enormità di questo presupposto ad avermi colpito.

Un uomo di governo, come qualsiasi uomo politico, è una persona che ha il compito di servire il suo paese. È assunto a tempo determinato e retribuito dai suoi elettori, e da questi può essere licenziato se, come spesso accade, non adempie adeguatamente il proprio incarico. Ad esempio, alla prossima scadenza contrattuale il sottoscritto licenzierà – pro quota – i suoi attuali governanti (che non ha – pro quota – assunto!). Essere primo ministro è un incarico e non un onore, ed i poteri che la carica attribuisce sono solamente strumenti di lavoro… affermazioni strampalate, eh?

Un bar è un esercizio pubblico, che fornisce a pagamento un servizio. Questo, per definizione, s’intende uguale per tutti. Le qualità, i meriti ed i demeriti, il cosiddetto rango e qualsivoglia altra caratteristica del cliente non c’entrano. Vi prego di notare che non sottovaluto la difficoltà del mestiere di primo ministro. So bene che pochi sono in grado di esercitarlo degnamente, e quei pochi meritano la massima considerazione. La quale non c’entra niente con i cappuccini e non deriva dalla funzione che si esercita, ma da come la si esercita.

Vorrei raccontarvi, in tema di camerieri, clienti privilegiati e mentalità corrente, un fatto che mi accadde molti anni fa a Roma, nei pressi di Piazza Venezia. Lavoravo in quella zona ed andavo spesso a prendere un panino in un certo bar. Un giorno uno zelante cameriere, quando gli indicai quello che volevo, si mostrò titubante. Dopo un attimo di esitazione, mi disse: “Guardi, quello è meglio che non lo prenda, non è molto fresco. Gli altri vanno benissimo!”. Mentre prendevo uno dei panini consigliati, assunse un’espressione complice e furba e fece il capolavoro, aggiungendo: “Magari, se fosse stato uno di passaggio gliel’avrei dato, ma lei è un cliente…”. Bel colpo! Pensando di rendersi gradito, il brillante giovane mi disse che in quel locale si rifilano agli sconosciuti panini stantii. Chissà se si è accorto di avermi anche implicitamente detto che un altro cameriere, non riconoscendomi, ne avrebbe dato uno anche a me. E chissà se si è accorto di non avermi più visto, ed ha collegato la mia scomparsa alla sua luminosa trovata…

Il servilismo, ahinoi, colpisce quotidianamente e diffusamente.

Ma torniamo a Montevarchi.

Nei sullodati articoli sull’argomento, tra i termini più diffusi compaiono gaffe, figuraccia, incidente diplomatico (nientemeno!). Questa terminologia presuppone l’assioma di cui sopra (che il primo ministro non è un cliente qualsiasi) come un dato di fatto ovvio ed incontrovertibile. La cameriera era distratta, e si è poi scusata dicendo di non aver riconosciuto Mr. Cameron. L’idea che Mr. Cameron fosse, come appunto era, un cliente come tutti gli altri, non viene neppure presa in considerazione.

Il Giornale del Friuli recita: Nel suo primo giorno di vacanza con la moglie in Toscana, ieri Cameron è stato trattato alla pari di uno sconosciuto qualunque che entra in un bar ed ordina da bere.

Se poi qualcuno ritenesse seriamente che ad un primo ministro sia dovuto un trattamento speciale, avrebbe l’onere di illustrare i criteri che presiedono all’attribuzione degli onori sovrani. Vedrà presto – se esamina criticamente il principio – in quale pasticcio dialettico è andato ad impaludarsi! Tanto per fare un esempio, ricordo un fatto di cronaca degli anni Settanta, quando un gruppo di camerieri di un autogrill rifiutò di servire il pasto a Giorgio Almirante (spero che sia superfluo manifestare il mio radicale disaccordo sull’inconsulta azione). Vedete come ci può portare lontano la discrezionalità del servizio?

Tornando ancora a Montevarchi, amici che leggete, vorrei sottolineare che il servilismo ed il conformismo sono animali dalla pelle molto dura, sono straordinariamente diffusi in innumerevoli diverse sembianze e sono all’origine di molte catastrofi.

Il Re Sole è morto qualche secolo fa, ma i suoi cortigiani sono più prosperi che mai!

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Oggetti prestigiosi

 

Uno degli aggettivi più abusati e logori degli ultimi anni è senza dubbio “prestigioso”.

Il tentativo di distinguersi a prezzo di saldo e la pubblicità hanno trovato in quella magica parola un punto d’incontro, attribuendo l’agognata caratteristica agli oggetti più disparati, dalle automobili ai quartieri delle città, dagli abiti ai cibi.

Sono così diventate prestigiose anche alcune carte di credito.

Ricordo una pubblicità che ne mostrava una nella sua versione di più alto rango, che prendeva nome da un pregiato metallo (non ricordo se fosse platino, oro o stronzio).

L’avvolgente messaggio promozionale lasciava intendere che al possessore di così mirabile strumento si sarebbero aperte tutte le porte, rendendolo oggetto di stupita venerazione da parte dei comuni mortali accecati dall’apparizione del fulgido rettangolo di plastica.

Mi venne l’idea di telefonare al numero indicato per scandagliare la profondità degli “esclusivi privilegi” che l’oggetto prometteva ai suoi felici possessori.

Quando nominai all’addetta l’argomento della mia domanda, questa cadde in immediato deliquio. La sua spiegazione esordì con un “Oh, quella…” che rapidamente sfumò, affidando l’ineffabile messaggio a sospiri di soggiogata adorazione.

Le chiesi allora di precisarmi il contenuto degli esclusivi privilegi, e la risposta, dopo un fugace accenno a vaghe coperture assicurative, fu che non in volgari vantaggi economici consisteva il valore della magnifica carta, ma nell’aureola di gloria della quale aveva il potere di circonfondere il suo privilegiato possessore. “Quando lei – anzi, disse Lei – mostra questa carta…” e di nuovo le parole le fecero difetto, cedendo il passo ad una manifestazione non verbale di attonita meraviglia.

Rimase così confermata l’ipotesi che mi aveva spinto a telefonare: il principale privilegio che quella carta elargiva era quello di rimpolpare le tasche della società emittente.

Sono stato, per alcuni anni, portatore sano di una carta di credito allora considerata assai prestigiosa, ancorché né d’oro né d’altri portentosi metalli. Un signore al passo con i tempi che mi avvenne di incontrare in un albergo discretamente stellato trovò l’occasione di mostrarmi la sua collezione di carte. Credo ci fossero tutte quelle disponibili sul mercato. Espresse il parere che la mia fosse senza dubbio la più prestigiosa, qualificando la sua maggiore concorrente con l’abominevole aggettivo “popolare”.

Con il distintissimo strumento di pagamento ebbi un paio d’illuminanti esperienze. 

Frequentavo con una certa assiduità un albergo del Nord Italia, nella periferia di un’opulenta città dove, per ragioni di lavoro, passai alcune settimane. Dopo essere rimasto insoddisfatto di un albergo del centro, una sera mi presentai nell’unico disponibile nella suddetta periferia. Ero perfettamente sconosciuto, era tardi e non c’erano alternative nel raggio di qualche chilometro. So per esperienza che, come è facile immaginare, questa situazione non predispone solitamente gli albergatori a praticare le tariffe migliori. Chiesi il prezzo, che era comunque quello che mi aspettavo, e mi stabilii lì.

Durante un fine settimana tra un viaggio e l’altro, mi avvenne di leggere, sul prestigiosissimo bollettino patinato che la mia carta forniva come esclusivo dono, che l’emittente aveva concordato una convenzione con il mio albergo. Ripetei così l’esperimento già fatto con la carta regale della quale vi ho raccontato poco fa, esperimento consistente in quello che a poker si chiama “vedere”. Anche stavolta non mi ero sbagliato. Il gentile commesso dell’albergo mi rivelò che a me veniva applicata una speciale tariffa scontata (nata nella situazione illustrata poco fa, senza che mi fosse fatta parola della natura favorevole del trattamento), mentre la convenzione si riferiva a quella intera, così che utilizzandola avrei pagato di più.

Questo può contribuire ad illustrare la natura degli “esclusivi vantaggi offerti ad una clientela selezionata”.

Ebbi, però, la fortunata occasione di toccare con mano anche il prestigio emanato da quella straordinaria carta.

Fu in un negozio di abbigliamento del centro storico di Roma, in una di quelle strade che s’incrociano perpendicolarmente tra piazza di Spagna e via del Corso.

Avevo scelto due camicie, e mi accingevo a pagare. Diedi al commesso – o forse era il proprietario – la sullodata carta (senza peraltro aspettarmi che cadesse prostrato ai miei piedi), ed ecco quello che accadde. Il pover’uomo si coprì il viso con le mani, assunse un’espressione terrorizzata e lanciò la testuale invocazione: ”No! Quella no!”. Seguì qualche momento per tornare alla normalità respiratoria, poi il malcapitato mi pregò di pagare in qualsiasi altro modo, dai contanti agli assegni, dal bancomat ad un’altra carta, e si profuse in dettagliate spiegazioni sulle percentuali che la mia carta sottraeva ai suoi incassi ed altri particolari, senza tuttavia dilungarsi sulle ragioni che lo spingevano a mantenere la convenzione che, vistosamente esposta sulle vetrine, magari favoriva l’ingresso di qualche cliente (e chissà se il buon uomo s’è successivamente accorto di averne perso uno).

Dal canto mio, dopo aver tenuto per qualche anno la carta nonostante il suo martellamento pubblicitario e l’insistenza su argomentazioni francamente offensive per i suoi utilizzatori, la ho restituita senza rimpianti e ne uso felicemente due assai meno prestigiose, che però non spaventano nessuno e non mi danno del cretino con puntuale cadenza mensile.

 

 

 

 

 

 

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