Le ragioni di un appuntamento

 

Nell’articolo L’illusione di saperne di più ho accennato al mio scetticismo sulla possibilità di dividere in modo netto ragione ed emozione. Si tratta, ovviamente, di un argomento sconfinato, del quale è difficile anche soltanto rendere espliciti i termini.

C’è, su questo argomento, un libro di straordinario interesse, che ho letto più volte: L’errore di Cartesio, del grande neuroscienziato portoghese Antonio Damasio. Lo studioso sostiene che l’emozione fa parte integrante del processo decisionale, e la sola ragione non è in grado di produrre comportamenti razionali.

Il punto di partenza della trattazione è il caso di Phineas Gage, l’operaio americano che ebbe un orribile incidente nel 1848, mentre era intento alla posa dei binari per una linea ferroviaria nel Vermont.

A causa di un errore una barra di ferro fu lanciata in aria da una forte carica di esplosivo ed attraversò da parte a parte la testa del povero Phineas che, sorprendentemente, ricominciò a parlare e camminare dopo pochi minuti.

La barra era lunga oltre un metro, pesava sei chili ed aveva un diametro di tre centimetri. Entrata da una guancia, gli aveva attraversato la parte frontale del cervello ed era uscita dal lato superiore del cranio andando poi ad atterrare trenta metri più lontano.

Il medico che soccorse Gage parlò con lui, e riferì di averlo trovato perfettamente lucido ed in grado di rispondere alle sue domande.

Dopo qualche mese, Phineas si era ripreso. Aveva perso l’occhio sinistro, ma parlava e controllava perfettamente i movimenti. Però, non era più lui. Si esprimeva in modo osceno, offendeva, faceva continuamente programmi che poi abbandonava, era ipercritico. Non riuscì più ad adattarsi ad un lavoro. Aveva perso ogni considerazione per le convenzioni sociali, comportandosi in modo autolesionista. Eppure, sembrava che intelligenza, attenzione, memoria e linguaggio fossero rimasti intatti.

Nel 1848 gli strumenti per capire che cosa fosse accaduto erano ovviamente assai limitati.

Damasio fa quindi un salto di oltre un secolo, e ci parla di un suo paziente, che chiama Elliot.

Elliot aveva subito un cambiamento simile a quello di Phineas Gage in seguito ad un tumore al cervello. Da persona equilibrata e capace era diventato instabile, non riusciva a portare a termine le attività che intraprendeva, in una parola era completamente inaffidabile e non era più in grado di curare i propri interessi (quelli che costituiscono l’oggetto del ”comportamento razionale”).

Elliot fu studiato a fondo.

Nei test d’intelligenza (WAIS ed altri) otteneva risultati superiori.

Orientamento, percezione e memoria risultavano eccellenti, e così il linguaggio, la capacità aritmetica e l’attenzione.

Superò tranquillamente i test sulle disfunzioni dei lobi frontali, consistenti nell’attribuzione di figure a categorie.

Riusciva brillantemente a fare stime sulla base di informazioni incomplete.

Fu quindi sottoposto a test di personalità, e mostrò caratteristiche assolutamente nella norma.

Che cosa, dunque, non funzionava?

Damasio si accorse che Elliot parlava delle proprie vicende con assoluto distacco, come se non lo riguardassero. Non mostrava emozioni. Non aveva reazioni di fronte ad immagini raccrapriccianti.

Era forse il deficit emotivo a spiegare la sopravvenuta incapacità decisionale?

Per valutare quest’ipotesi, Damasio sottopose Elliot ad altre prove sulla sua capacità di comprendere situazioni che comportavano la valutazione di convenzioni sociali e valori morali.

Da queste risultò che Elliot sapeva individuare la risposta giusta in situazioni sociali complesse, valutare le conseguenze delle diverse risposte, stabilire come comportarsi per raggiungere determinati obiettivi e prevedere lo svolgimento di situazioni sociali che gli venivano presentate.

Anche la sua “intelligenza sociale” era intatta!

Eppure…

Eppure, al termine di una batteria di questi test, dopo aver esaminato le possibili opzioni di comportamento e valutato correttamente le loro conseguenze, disse: “Anche dopo aver capito tutto questo, io in questa situazione non saprei che fare!”

L’applicazione delle valutazioni che faceva in laboratorio alle vicende della propria vita gli erano rese impossibili dalla mancanza dell’emotività.

Ovvero, per decidere correttamente la logica non basta.

A questo punto voglio citarvi la pagina del libro che mi ha colpito di più.

Dopo spiegazioni sui circuiti cerebrali interessati al processo decisionale e dopo aver esposto la teoria del marcatore somatico, sulla quale non posso qui dilungarmi, Damasio racconta un dialogo vissuto in prima persona con un paziente affetto da una lesione simile a quella di Elliot.

Doveva prendere con lui un appuntamento per una successiva seduta, e propose due possibili date. Il paziente, consultata l’agenda, cominciò ad elaborare ragioni in favore di una data e dell’altra… per oltre mezz’ora! Le considerazioni spaziavano dalla prossimità di altri impegni alle prevedibili condizioni meteorologiche, ed erano inarrestabili.

Alla fine, il povero Damasio lo interruppe suggerendo una delle due giornate, che non trovò resistenza.

Basta rifletterci un po’, amici miei: una “ragione logica” per preferire una delle due date non c’era. Non si trattava della capacità di individuarla, ma della sua stessa esistenza. Sono le esigenze della sopravvivenza che ci obbligano a fare delle sintesi accettabili nelle quali la logica e l’emozione operano simultaneamente, e qui s’innesta la teoria del marcatore somatico.

Ma è venuto il momento di salutarci, e per il momento siete in salvo. A presto!

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