L’illusione di saperne di più

La lettura del libro L’illusione di sapere di Massimo Piattelli Palmarini, ricco di riflessioni di notevole interesse, mi ha lasciato una perplessità di fondo.

Il libro tratta dei bias della mente, quelle illusioni cognitive nelle quali cadiamo senza accorgercene e che producono errori di valutazione e quindi di comportamento. Il punto di riferimento del libro è costituito dalle ricerche di Amos Tversky e Daniel Kahnemann.

La mia perplessità nasce da quanto si sostiene nel capitolo sul framing, l’incorniciamento delle scelte che delimita i nostri ragionamenti impedendoci di raggiungere una visione adeguata di un problema.

Il capitolo prende ad esempio la diversa valutazione che diamo a probabilità equivalenti secondo il modo nel quale ci vengono presentate: un gruppo di medici, di fronte ad un intervento chirurgico che produce una mortalità media del 7% nei 5 anni successivi all’operazione, tende a sconsigliarlo, mentre se si dice che l’operazione produce una sopravvivenza media del 93% tende a consigliarlo.

Il 7% negativo viene valutato diversamente dal 93% positivo, pur essendo matematicamente equivalente.

Su questo punto non c’è dubbio: si tratta di un’illusione e di un errore.

L’autore attribuisce l’errore alla mancata applicazione della teoria della decisione razionale, secondo la quale il comportamento razionale deve applicare il principio del valore del vantaggio previsto: un premio di 100 con il 50% di probabilità vale 50.

Qui nasce la mia perplessità.

Indipendentemente dall’errore indotto dalla previsione positiva rispetto a quella negativa, si sostiene che, di fronte alla scelta tra un guadagno sicuro di 750.000 ed un guadagno di 1.000.000 al 75% : “… la teoria del valore atteso imporrebbe … di rimanere perfettamente indifferenti”.

Dietro quest’affermazione si cela secondo me un grave equivoco.

Stiamo parlando di denaro. Semplifichiamo il caso: posso avere un milione sicuro o lanciare una moneta: testa due milioni, croce zero.

L’autore ci dice che le due opzioni si equivalgono.

L’elementare concetto economico di utilità marginale ci dice invece che due milioni non sono il doppio di un milione. Lo sono sotto l’aspetto algebrico, ma non sotto quello economico. Il primo milione consentirebbe alla grande maggioranza degli abitanti del pianeta di risolvere tutti i propri problemi economici, mentre il secondo milione permetterebbe qualche optional in più. La certezza di un bene ha un suo valore economico.

Applicare la teoria del valore del vantaggio previsto a questa situazione è contrario ai principi, privi di bias, del comportamento economico: il valore del denaro non è proporzionale al suo valore numerico.

Il ragionamento diventerebbe corretto se non si trattasse di una scelta una tantum ma ripetibile un grande numero di volte, come nel caso di scommettitori professionali. Nel lungo periodo le due scelte, evidentemente, tendono ad equivalere. Nel libro si parla di scommettitori, ed in quest’ipotesi concordo con l’autore.

L’affermazione che ho citato è però fatta in modo assoluto, come se si trattasse di un principio sempre valido ed applicabile.

Penso che questa convinzione derivi da un’illusione al contrario, quella di poter determinare la razionalità delle scelte con criteri numerici.

È evidentemente vero che se una valutazione probabilistica è alla base di una scelta questa valutazione deve essere matematicamente corretta: giocare al lotto i numeri in ritardo è una sciocchezza.

Non è invece vero che il valore di ciò che cerchiamo di ottenere si possa misurare con criteri esclusivamente numerici: questo vale per tutti i beni economici. Il criterio probabilistico puro può andar bene per le valutazioni di uno speculatore professionale, ma non è certo valido per chi ha un problema immediato da risolvere: per chi ha la necessità di una somma di denaro per pagare un intervento dal quale dipende la sua sopravvivenza non si comporterà molto razionalmente giocandosi a testa e croce una somma doppia di quella che gli occorre, potendo disporre con certezza del necessario.

La pretesa di inquadrare in termini algebrici le nostre scelte è a mio avviso un grave bias, un’illusione di saperne di più, dalla quale dovrebbero guardarsi coloro che si propongono di insegnare a ragionare.

Questo argomento si presta a considerazioni sui meccanismi di base delle nostre scelte, sui quali mi riprometto di tornare presto.

Devo però riconoscere che c’è una persona che, con assoluta coerenza, applica in modo rigoroso la teoria del vantaggio previsto, incarnando l’ideale della razionalità del comportamento ed ottenendo risultati sorprendenti. Per questa persona l’ultimo centesimo vale esattamente quanto il primo, e non c’è framing che possa convincerlo del contrario.

Il suo nome è Paperon de’ Paperoni, e tutti dovremmo seguirne il fulgido esempio!

 

 






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